Independent Theatre Hungary a Roma. Intervista a Sebastiano Spinella di Francesca Ciccariello

Workshop teatrale con le compagnie Rom d’Europa

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Independent Theatre Hungary a Roma. Foto per gentile concessione

Workshop teatrale con le compagnie Rom d’Europa.

Independent Theatre Hungary a Roma

Intervista a Sebastiano Spinella

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Independent Theatre Hungary a Roma. Foto per gentile concessione

Creare opportunità per la minoranza etnica più numerosa ed esclusa d’Europa, minoranza che in Italia non viene riconosciuta, quella dei rom, è l’obiettivo che si è posto Sebastiano Spinella, uno che i rom li conosce bene, perché le sue origini risalgono a quella cultura e perché ci lavora da vent’anni. Sono andata a conoscerlo.

Ciao Sebastiano! Ho ascoltato qualche intervista in rete prima di incontrarti, e ho scoperto un po’ della tua vita privata e della tua carriera. I tuoi genitori sono entrambi siciliani, ma tu sei cresciuto in Danimarca, parli 5 lingue, sei un misto di culture, sei un artista circense, un musicista, hai frequentato la scuola di circo e clown, e i primi dieci anni della tua carriera sono stati itineranti, dedicati al lavoro insieme a compagnie di teatro di strada. È stato in quel momento che sei venuto in contatto con la cultura rom, lavorando con compagnie che viaggiavano con carri trainati da cavalli ed entrando in contatto con le vecchie tradizioni. Come sei arrivato a lavorare con i ragazzi rom di Roma quando sei tornato?

Sono tornato a Roma nel 2001 dopo varie peregrinazioni (Sebastiano mi racconta della sua vita, ma servirebbe un’altra sede per raccontarvi tutti i suoi spostamenti! – ndr) e ho iniziato a lavorare coi rom nel 2002 con un progetto di scuola di musica per i ragazzi del campo rom di via dei Gordiani finanziato dall’allora VI municipio. Il progetto era stato scritto da un gruppo musicale, ma dopo un paio di mesi dall’avvio, uno degli insegnanti mi chiese di sostituirlo. Quando sono andato, ho trovato una situazione disastrata: i musicisti, per quanto ben intenzionati, non riuscivano a gestire i ragazzini rom, che avevano preso il potere, non ascoltavano, fumavano, facevano quello che volevano, insomma c’erano grosse difficoltà. Al mio arrivo i ragazzi mi hanno “riconosciuto”: “Tu sei quello che fa gli spettacoli d’inverno a Piazza Navona!!! Noi siamo quelli che vengono a vendere le rose, noi vediamo i tuoi spettacoli!!!” (Sebastiano sorride), dunque nel loro immaginario mi hanno inserito in un’altra posizione, non in quella dell’operatore sociale, del mediatore, che è una figura non ben vista da loro, ma in qualche modo ero a loro famigliare, motivo per cui mi sono guadagnato la loro fiducia. Quindi ho terminato il 1° anno e mi è stato chiesto di continuare con la scuola di musica per gli anni successivi, perché il progetto era stato finanziato per tre anni. Nel 2004 il progetto viene ospitato da Rampa Prenestina, che si trova a 200 m. a piedi dal campo rom: il terzo piano di Rampa era stato dato in gestione ad altre associazioni tra cui l’Alfredino Rampi e il Cemea (che lavoravano sulla sicurezza nelle scuole e contro la dispersione scolastica, ndr), che mi affidò una stanza, quindi Rampa è diventato il nostro spazio per dieci anni. Purtroppo con la pandemia abbiamo dovuto dare i locali all’Istituto scolastico che ci ospitava (I.T.I. Lattanzio), abbiamo mantenuto il nome dell’Associazione, oggi è l’ex Casale Falchetti gestito da LSA Centocelle che ci ospita, è lì che facciamo i laboratori coi giovani dei campi e anche gli spettacoli, ma il luogo è molto più piccolo, ci auguriamo di trovare presto una sede più idonea.

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Independent Theatre Hungary a Roma
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Independent Theatre Hungary a Roma.

Dall’insegnamento della musica sei passato ai laboratori di teatro per i giovani rom, coinvolgendo anche altre realtà dall’Europa. Perché proprio il teatro come mezzo, che tipo di messaggio viene veicolato?

Il teatro è una psicoterapia, per tutti, è un potente strumento di conoscenza di sé, e di conoscenza del mondo anche, perché nello studiare un ruolo devi entrare nella mente degli altri, capire il mondo esterno, metterti in gioco. Quindi utilizziamo il teatro come mezzo di conoscenza di sé, non come proposta professionale, non abbiamo intenzione di formare artisti, poi, se tra loro ci sono dei talenti, faranno la loro strada, noi possiamo accompagnarli per un po’, ma il nostro obbiettivo non è quello, noi vogliamo creare uno spazio di conoscenza di sé e del mondo. Il motto di Paulo Freire citato in “Pedagogia dell’oppresso” recita: Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo.

Il messaggio che viene veicolato non è nello specifico la cultura e tradizione rom, non siamo ancora andati al premio nazionale Amico Rom istituito da Santino Spinelli a Pescara, perché non vogliamo trasmettere il folklore rom, né parlare delle tradizioni rom nei nostri spettacoli, parliamo piuttosto del disagio della gioventù delle terze generazioni, che si lega a doppio filo con la gioventù delle periferie, di qualsiasi origine ed etnia essa sia. Stiamo uscendo dal pensiero monoetnico, per entrare in una dimensione più umana, umanistica, siamo esseri umani, le differenze fanno la ricchezza. I “nuovi rom” sono nati a Roma, ascoltano sì la musica rom, ma anche il rap, il rock, il pop, poi la tecnologia, che ci fa tanto male, può fare anche del bene, e a loro ha fatto anche del bene, perché con il telefonino improvvisamente si sono resi conto che non c’è solo il campo, ma c’è una questione globale sul popolo rom, quindi una presa di coscienza dell’ampiezza della propria condizione, ed è su quello che io lavoro. Capire chi siamo, da dove veniamo, cosa stiamo diventando.

Si è da poco concluso a Roma il workshop “The Travelling Masks: An Introduction to Stand Up Comedy” tenuto da Valeria Campo presso Spin Time Labs che ha visto la partecipazione di Independent Theatre Hungary, una compagnia rom di Budapest, con il sostegno dell’Accademia d’Ungheria in Roma. Puoi parlarmi della compagnia ungherese? Come e quando è avvenuto l’incontro con loro?

L’incontro c’è stato nel 2018 quando l’Independent Theatre Hungary (da ora abbreviato: ITH, ndr) ha scritto ai miei amici in Norvegia, dove vivevo, perché cercavano un attore rom italiano per un festival internazionale e sapevano che loro collaboravano con un italiano, per cui sono stato chiamato e, dopo aver ascoltato la mia storia, mi hanno chiesto di scriverla per loro, in quanto descriveva bene la condizione della comunità rom in Italia. Quindi mi hanno finanziato ed è nato Children of the wind, un monologo che ho presentato in Ungheria nel 2018. Pochi mesi dopo mi hanno invitato a entrare nella rete dei progetti europei. Il primo progetto prevedeva la formazione di 4 giovani misti (2 rom 2 non rom) alla conduzione di workshop contro la discriminazione verso il popolo rom. Oltre a noi, ITH ha coinvolto rom dall’Irlanda, dalla Scozia, dalla Spagna e dalla Romania, e in seguito anche altri paesi del blocco dell’est. Le compagnie non vivono di solo teatro, sono finanziate dagli sponsor e dai progetti europei, è la sezione educativa all’interno delle loro attività che dà il lavoro alle nuove generazioni, pacchetti di laboratori da offrire alle scuole condotti dai giovani rom, in collaborazione con licei e università.

Nel giro di qualche anno, quindi, si è messo in moto un grande numero di spettacoli teatrali, alimentati da progetti europei che hanno permesso la collaborazione tra diverse realtà artistiche, creando opportunità di scambio culturale e innovazione. Com’è strutturata la collaborazione con ITH, che hai già da sette anni?

Il modello strategico su cui lavoriamo, che comprende sia l’aspetto creativo che quello pedagogico, è stato concepito dal team ungherese. Sul piano artistico, ITH ha avviato un festival internazionale di teatro rom a cadenza annuale, a cui partecipano artisti e compagnie da tutta Europa. Hanno creato un archivio digitale di tutti gli artisti e le compagnie che negli anni hanno partecipato al festival (https://romaheroes.org/), sostengono e finanziano la creazione di nuovi spettacoli, curano la pubblicazione di diverse raccolte di drammaturgia di artisti rom. Sul piano pedagogico, organizzano corsi di formazione e sostengono i loro partner nella formazione delle nuove generazioni rom ai mestieri del teatro e, in parallelo, sviluppano attività ludico-creative, laboratori e workshop sulla conoscenza di sé. Chiaramente le strategie vengono riadattate alle situazioni specifiche dei paesi partner, che possono essere molto diverse. I rom qui da noi non hanno neanche la terza media, c’è un abbandono scolastico definitivo a partire dalle medie, il lavoro con loro procede più lentamente perché c’è da riempire un gap educativo enorme. In Ungheria la presenza di rom è più grande e i progetti per l’inclusione delle comunità rom più efficaci di quelli in Italia. I giovani rom hanno potuto frequentare l’accademia di teatro, si sono potuti laureare, hanno potuto completare le scuole superiori.

2018-2025: quali sono stati i risultati fino a oggi e che progetti avete in mente per il futuro?

Nonostante la povertà educativa i ragazzi sono entrati in una dimensione europea, attraverso i viaggi sono in contatto con le altre comunità rom d’Europa, perché in ogni paese c’è una comunità che sta crescendo, che si sta formando, ed è soprattutto il viaggio che li ha convinti a continuare e ha influito sulle loro vite. Ho insistito affinché ci fossero sempre i viaggi di scambio, perché permettono ai giovani di sentirsi parte di una comunità più ampia. I ragazzi stanno crescendo, hanno cominciato a prendere in mano delle responsabilità, stanno guidando delle attività del progetto e arricchendo la loro formazione, sia come educatori e attivisti che come artisti professionisti del teatro. Abbiamo anche fondato una nuova associazione fatta solo di giovani rom e l’intenzione sarebbe quella di sciogliere Rampa Prenestina in questa nuova associazione per permettere ai ragazzi di gestirla in prima persona. In futuro il mio desiderio è quello di restare dietro le quinte, vorrei che a guidare il progetto siano le nuove generazioni. La collaborazione con ITH è andata crescendo con l’inclusione di nuovi paesi quali Repubblica Ceca, Slovacchia, c’è più visibilità, abbiamo già in essere diversi progetti europei, sono previste attività fino a dicembre 2026 con la creazione di nuovi spettacoli e l’organizzazione di festival internazionali in itinere tra le capitali europee. L’obiettivo è arrivare a creare un’organizzazione che possa continuare nel tempo e dare lavoro al maggior numero di giovani della comunità rom. Tramite i fondi vengono garantiti dei piccoli stipendi a questi ragazzi che altrimenti, in quanto rom, difficilmente verrebbero assicurati.

La nostra intervista finisce qui, penso alla bellezza di questo progetto per l’inclusione della gioventù rom e mi commuove l’impegno e la collaborazione che esiste tra le varie comunità. Grazie Sebastiano! Un’ultima cosa: da amante della lingua ho una grande curiosità: che lingua parlano i rom della comunità di via dei Gordiani?

La mia comunità, che è la comunità del mio territorio – nel senso che la incontro per strada, la vado a trovare, sa dove abito, mi viene a trovare, c’è una familiarità insomma – viene da una città che si chiama Kragujevac. Loro non si vestono con gonne lunghe, foulard, bandane ecc., ma si vestono da europei, perché i loro nonni hanno già attraversato un processo di integrazione: Tito, quando fece la grande fratellanza slava, volle includere anche la comunità rom a patto di fermare il nomadismo; una città che venne offerta loro fu Kragujevac, dove risiedeva la Zastava, l’industria automobilistica slava legata alla Fiat. Tutti i modelli Fiat che andavano fuori moda, li mandavano lì, e molti di quei rom lavoravano nella Zastava. Quindi ai tempi è iniziato un processo di integrazione, e quei nonni sono andati a scuola, già si cominciava a perdere la lingua originaria, che era un mix di serbo e rumeno, come anche oggi. Quindi i vecchi che ormai sono quasi tutti morti, se non già tutti, parlavano romaní, o romanes, serbo e una sorte di rumeno antico, oltre che un po’ di italiano. Io sto lavorando con i fratelli minori di quelli con cui lavoravo vent’anni fa, siamo alla terza generazione, questi ragazzi parlano italiano senza un grande vocabolario, un romanaccio fantastico, non conoscono il romanes, ma capiscono le canzoni perché le ascoltano, quindi abbiamo un misto. Se parli con loro ti dicono: “Noi semo de Centocelle!!!”.

© 2025 Francesca Ciccariello

Francesca Ciccariello nota bio

Francesca ha una formazione accademica in lingua ungherese, che unisce la passione per le lingue e la cultura alla sua esperienza nel campo della traduzione e dell’arte. Con una solida conoscenza della lingua ungherese, ha sviluppato una carriera nella traduzione di testi, lavorando in particolare nel settore culturale e artistico. La sua abilità nel tradurre non solo parole, ma anche significati culturali, le consente di essere una risorsa preziosa nel campo della promozione e valorizzazione del patrimonio visivo e culturale.

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