Folclore Romano: “Le Streghe di San Giovanni” di Paolo Portone

Le streghe di San Giovanni. Un mito recente in una tradizione arcaica

Foto di Irene Vallerotonda

Richiesta inserimento in newsletter e vostri commenti o proposte di collaborazione scrivendo a target.lsfc@gmail.com   

  infoline +39 331 6379346

 

FOLCLORE ROMANO

Benvenuti a Folclore Romano, la rubrica a cura dello storico Paolo Portone , che , sulle pagine di Romaoggi.eu, vi porta nel cuore più autentico di Roma, tra leggende, tradizioni popolari, superstizioni e personaggi storici e pittoreschi.

Qui non si parla solo di monumenti e imperatori, ma della Roma vera, quella dei vicoli, delle fontanelle, dei detti in dialetto e delle storie tramandate da nonna a nipote. Scopriremo insieme le origini di usanze curiose, i racconti dei fantasmi che popolano i rioni, le feste tradizionali che ancora oggi animano i quartieri e le figure mitiche come il Sor Capanna, Pasquino e la Befana di Piazza Navona. Conosceremo anche la Roma nascosta , quella degli intrighi, dell’inquisizione e di Mastro Titta…ma non solo !

Che siate romani de Roma o semplicemente innamorati dell’Urbe, preparatevi a un viaggio affascinante tra passato e presente, alla scoperta dell’anima popolare di una città eterna.”

Alessandro Lisci – Target Lab Ets

Foto di Irene Vallerotonda

Le Streghe di San Giovanni

 Un mito recente in una tradizione arcaica

Secondo una tradizione antichissima, nella magica notte di San Giovanni sono metaforicamente esorcizzati gli spiriti maligni, non diversamente da come tra Medioevo ed Età moderna furono arse al rogo le cosiddette streghe, capri espiatori in corpore delle paure della società di antico regime. In realtà, donne innocenti guaritrici, perlopiù, depositarie di una sapienza millenaria, come le herbarie o herbane protagoniste della piece teatrale ideata e realizzata da Argilla teatri.

Riuscito esempio d’impegno civile e di accuratezza filologica, che riesce nell’intento di recuperare una pagina oscura del nostro passato, a tutt’oggi ancora parzialmente negletta, quando non fraintesa o addirittura mistificata.

In questa sede cercheremo di far luce su un aspetto specifico della tradizione di San Giovanni, focalizzando il nostro su un mitema spesso dato per scontato ma che in realtà rimanda a drammatiche vicende storiche, più recenti rispetto all’arcaicità dei riti solstiziali. Tenteremo nel breve tempo a disposizione di spiegare come , quando e perché si reinventò una tradizione , innestando nel tronco del mito antico la fantasia del corteggio notturno di streghe che nella notte di San Giovanni si recano in volo a celebrare il Gran Sabba all’ombra del maleficio Noce di Benevento.

E’ noto ai più il significato simbolico che assunse sin dai tempi più remoti la massima durata delle ore di luce nel giorno del solstizio estivo a cui corrisponde l’inevitabile declino dell’astro sul nostro orizzonte a partire dai giorni immediatamente successivi all’evento astronomico, con seguente lente e inesorabile diminuzione delle ore di luce. Come osservava Frazer, ne Il ramo d’oro, un evento del genere non poteva sfuggire alla mente dei nostri primitivi antenati che coerentemente al principio della magia imitativa o omeopatica dovettero ritenere di sostenere il Sole in questo delicatissimo transito, corrispondente al suo apparente declino, sorreggendo i suoi passi vacillanti e ravvivando la fiamma morente della sua lampada, accendendo enormi falò, recandosi processionalmente sui campi coltivati con le torce accese e facendo ruzzolare dai pendii enormi ruote infuocate.

Da questo primitivo nucleo di credenze e riti legato al calendario solare, discendono le feste contadine di mezz’estate nella nostra Europa,dall’Irlanda alla Russia, dalla Norvegia e dalla Svezia alla Spagna e alla Grecia,in cui il fuoco ha una parte fondamentale anche in chiave apotropaica, in quanto mezzo per allontanare gli spiriti maligni e consumare le energie negative.

La domanda a questo punto è quando e perché a rappresentare gli spiriti maligni e le energie negative furono chiamate in causa delle donne mostruose , fisicamente e moralmente, fanatiche adepte di una setta di adoratrici del Diavolo cristiano? Per rispondere a questo quesito bisognerà prima cercare di definire innanzitutto l’origine più antica del termine strega.

Certo i latini conoscevano tale nome, ma bisogna allora aggiungere che il campo semantico del vocabolo strix, pur comprendendo in linea teorica il significato di malvagie maghe versipelles, alludeva principalmente, come attesta Ovidio nei suoi Fasti (Ovidio, I Fasti 6, 133-140), a uccellacci notturni con «la testa grande, occhi fissi, il becco atto alla rapina; nelle piume c’è del bianco, nelle unghie un artiglio, volano di notte e assalgono i bimbi che han bisogno della nutrice…; si dice che coi loro becchi facciano a brani le viscere dei lattanti, e il gozzo hanno pieno del sangue bevuto. Si chiamano strigi, e questo nome dipende dal fatto che sogliono stridere nell’orrore della notte» .

Orazio, negli epòdi, non usa l’appellativo strix, come neanche i termini Lamia, Graia o Gòrgone, per indicare la sua conoscente, la unguentaria e venefica napoletana Gratidia, per la quale al contrario si avvale di uno pseudonimo (Canidia), la cui etimologia vien fatta risalire a Canus, cioè a quelle «canizie del capo» che nell’antichità romana costituivano un tratto caratteristico delle donne dedite alle arti magiche, tanto che anus, in italiano “vecchia”, spesso è sinonimo di megera.

«Anus et aruspices et hariolas ecc» si trova in Seneca , impiegato come sinonimo di esperta (e perciò anziana) in incantesimi e riti magici, qualificati perlopiù ad amorem. la vetula oraziana e le sue compagne Sàgana e Veia, esperte in erbe, in carmina e venena, sebbene disposte a tutto pur di accontentare le loro voglie e dei loro clienti, possono essere identificate solo a costo di una anacronistica forzatura come streghe nell’accezione tardo medievale e moderna.

Assai distante dalla concezione magico religiosa dell’antichità è la credenza in un culto fondato sull’adorazione del Male incarnato, e in una religione i cui adepti sono votati con le loro arti a perseguitare l’umanità. Nell’antichità personaggi come le tre maghe degli epòdi non subirono l’ostracismo delle autorità religiose e secolari, né la riprovazione sociale (lo stesso Orazio, pur dileggiandola, non disdegnava di ricorrere ai servigi di Canidia), ma soprattutto non conobbero una repressione paragonabile pure lontanamente alla moderna caccia alle malefiche. Soprattutto non sono mai indicate dall’autore con il termine strix, che pure doveva conoscere.

Osserva Charlotte Touati, a proposito di Apuleio e del suo capolavoro, il romanzo di formazione (magica) Le Metamorfosi o L’Asino d’oro (II secolo d.C.), che egli «n’utilise pas “striges “, mais “cantatrices anus”», per indicare le maghe tèssale che incontra il protagonista del racconto. Termine che al pari dell’anus in Seneca, «valant pour “vieille” et pour “sorcière”. Altrove, per indicare le fattucchiere versipelles, l’autore de Le Metamorfosi, usa il termine «Sagae mulieres».

Anche le striges protagoniste di un episodio narrato nel Satyricon, sebbene indicate come mulieres nocturnae e plussicae (che la sanno lunga) non presentano alcun tratto che possa accomunarle alla streghe diaboliche .Non sono adepte di un culto notturno contrario al mos maiorum, soprattutto non sono qualificate come sortileghe o fattucchiere. D’altro canto, lo stesso Petronio in un altro episodio del romanzo, quando il protagonista Eumolpo ricorre alle cure magiche di Pròselenòs per guarire da una improvvisa impotenza, non usa il sostantivo strix per indicare la fattucchiera, limitandosi a chiamarla anicula.

Foto di Irene Vallerotonda

Addirittura nella stessa Bibbia la donna di Endor, consultata da Saul per evocare lo spirito di Samuele, spesso erroneamente indicate come una strega , nella versione ufficiale cattolica delle Sacre Scritture viene nominata più correttamente come una necromante, le cui arti divinatorie nulla hanno a che vedere con le pratiche demonolatriche, i riti omicidiari e cannibalici attribuiti alle streghe diaboliche (Esodo (22,17), Deuteronomio (18,11).

E dunque, a quale altezza cronologica e possibile far risalire la trasformazione di questi uccelli notturni del malaugurio in malefiche versipelle esperte delle diaboliche arti?

Il termine strega nella “moderna” accezione di seguaci della pestifera setta di Satana, capaci grazie ai poteri del loro signore di recarsi in volo di notte alla volta dei loro segreti raduni in cui vi era celebrato il rito demonolatrico conosciuto come sabba, sebbene questo si sia affermato successivamente e non dappertutto (synagogue e ludus), fu introdotto come ha dimostrato Marina Montesano nei primi decenni del Quattrocento dai predicatori francescani e domenicani, di cui se ne servirono in feroci campagne denigratorie volte e stigmatizzare l’operato di fattucchiere, guaritrici, levatrici e dominae herbarum, diversamente nominate nei vernacoli locali ( faituriera, stroliga, magara ecc).

Nella leggenda di credenza reinventata dai predicatori finirono per essere incluse anche altre tradizioni folkloriche in cui era presente il motivo del volo notturno (corporaliter o in spiritu) ,come la credenza friulana dei benandanti e delle donne di fora siciliane. Tuttavia, occorre precisare che Indubbiamente, il principale contributo alla diffusione del nuovo mito fu propriamente la lunga stagione della caccia alle presunte adoratrici di Satana, protrattasi per oltre tre secoli e che, sebbene circoscritta ad alcune sue regioni, ha interessato anche l’Italia.

Quando si parla di caccia alle streghe si fa riferimento ad uno dei fenomeni più duraturi ed estesi di persecuzione della storia dell’Europa occidentale, che coinvolse secondo le stime degli storici più cauti circa centomila persone, portandone al patibolo almeno sessantamila, in prevalenza donne, perlopiù guaritrici, fattucchiere, conciaossa ed herbarie.

Donne appartenenti in maggioranza ai ceti subalterni, in particolare abitanti gli “angoli oscuri” del continente (soprattutto le valli alpine), detentrici di un carisma informale non riconosciuto dal potere ecclesiastico ed accademico , depositarie di un sapere empirico trasmesso oralmente di generazione in generazione misconosciuto dalla medicina ufficiale (che pure se ne serviva in forma libresca) esperte di una medicina magica, in cui la conoscenza erboristica era compenetrata con pratiche terapeutiche rivolte alle psiche, non molto diversa da quella praticata dai professionisti della cura del corpo e dell’anima (talvolta anche superiore in termini di risultati), e proprio per questo fortemente concorrenziali , in un regime di pluralismo terapeutico, anche nei grandi centri urbani con medici e sacerdoti.

Attraverso l’invenzione della strega diabolica, un tradizione fino al Quattrocento estranea al folklore europeo, cioè di una adepta del culto apostatico ed ereticale di Satana, maestra delle arti malefiche ispirate direttamente dal diavolo e dotate tra l’altro del potere di trasformarsi in animali e di volare a cavallo di scope o di caproni nel cuore della notte per recarsi a celebrare il proprio Signore nell’ abominevole rito orgiastico omicidiario del Sabba, si intese colpire, a partire dalla fine del Medioevo, insieme alle dominae herbarum, il millenario retaggio culturale di cui erano espressione e testimonianza vivente.

Nel corso di più di tre secoli, le autorità religiose e civili dell’Europa occidentale cercarono di realizzare, in parte riuscendoci, una nuova e più pervasiva forma di dominio della società, attraverso la repressione di residuali forme di autonomia (economica, culturale,religiosa,sessuale e terapeutica) e l’imposizione di un controllo sistematico del corpo e dell’anima .

Le streghe volanti che secondo la leggenda raccolta da Luigi (Giggi) Zanazzo e ancora attestata nella Roma post unitaria,si potevano osservare tra Santa Croce e San Giovanni volare rapide sulle scope alla volta del Noce malefico di Benevento, altra grande reinvenzione o ibridazione di una tradizione pre cristiana con gli elementi propri della demonologia ecclesiastica, e che i romani allontanavano con i falò, gli schiamazzi, e i campanacci (di Arpino), sono le stesse che anticamente si aggiravano per i prati dell’urbe a raccogliere quelle erbe benedette che pure servivano a guarire dal maleficium e a sanare le malattie del corpo e dell’anima.

E’ questo il caso di una donna romana, Finicella, portata a furor di popolo a processo, dopo una infuocata predica di Bernardino da Siena, nel 1426, e quindi condannata al rogo per “incantamenti” e stregoneria. Tra i reati che le furono imputati, vi era anche quello di essersi recata “in su la piazza di Santo Pietro” e aver preparato “certi bossogli d’unguenti fatti d’erbe che erano colte nel dì di santo Giovanni”.

Foto di Irene Vallerotonda

Una pratica censurata dalle autorità ecclesiastiche, per le sue implicazioni magiche, e dunque diaboliche, come risulta nella deposizione di una guaritrice pordenonese, Angioletta delle Rive, accusata di stregoneria diabolica nel 1650 e morta in carcere l’anno successivo “La mattina della solennità di San Giovanni Battista, innanzi che si levasse il sole io ero solita andare a raccogliere l’herba chiamata di San Giovanni, herba che fa una pianta grande com un bel fiore di color vinato, e ha le foglie gradi più di un palmo”.

Una donna che al pari delle migliaia che dopo di lei nei secoli a venire patiranno la stessa sorte, confessò davanti ai suoi giudici ,probabilmente dopo essere stata torturata che le piante che andava raccogliendo nel “dì santo Giovanni” , altro non erano che maleodoranti erbe del Diavolo.

Le dominae herbarum erano ben consapevoli che le erbe come l’iperico, la salvia,la ruta, il prezzemolo, raggiungevano il loro tempo balsamico, cioè il momento di maggior concentrazione del loro principio attivo, in specifici periodi dell’anno, come la notte tra il 23 e il 24 giugno (coincidenti con il periodo solstiziale), ideale per la raccolta delle più comuni e usate piante della farmacopea popolare già citate, oltre alle felci, all’artemisia e alla sabina (erba demonifuga).

‹‹Accipe herbam bonam››, così si rivolgeva ad un suo paziente Giulia da Bologna, guaritrice operativa a Modena nel XVI secolo , mettendo in evidenza come ai pazienti si somministrassero unguenti, infusi e decotti a base di erbe. Queste erbe, dalle proprietà antisettiche, antipiretiche ed antinfiammatorie, venivano generalmente cotte o meglio cucinate. Spesso erano somministrate sotto forma di decotto, a volte sotto forma di pane perché impastate con farina ed acqua.

In alcuni casi ancora si mescolavano a grassi ed oli come era solita fare Caterina Borgognona, medichessa modenese, che per guarire i bambini univa il burro con le erbe pestate. A Siena, Francesca Torrigiani ,soprannominata la fabbra, vedova e vecchia assai, come risulta dalla deposizione di un testimone a carico, era usa neutralizzare le fatture ungendo le piante dei piedi e la piegatura dei bracci con un ramoscello di ramorino (rosmarino) e dell’aglio intinti in un certo olio in cui vi erano infuse alcune erbe (di cui il testimone ignora il nome) “colte nella mattina di San Giovanni” (Inquisizione di Siena, processo per magia terapeutica con abuso di preghiere e di oggetti sacri , 12 febbraio 1690).

Di queste donne vittime dell’’intolleranza e del fanatismo rimase traccia per lunghi, troppi secoli, nella infamante figura della strega diabolica, quella che in compagnia di altre malefiche adoratrici del diavolo ritroviamo nel “recente” mitema entrato a far parte della tradizione solstiziale del 24 giugno, che a cavallo di scope ma anche di caproni ed altri animali, o trasformandosi in mosche, si recano nella notte magica di inizio estate al seguito di Erodiade , la perfida moglie del lussurioso Erode Antipa che con uno stratagemma riuscì ad ottenere la morte dell’odiato profeta, e che secondo una leggenda medievale sarebbe stata condannata, dopo essersi pentita della morte di Giovanni, a vagare in eterno nell’aria notturna sospinta dal vento furioso fuoriuscito dalla bocca del santo, e a rimirare nel disco solare del nuovo giorno il suo volto.

Personificazione della malvagità femminile e simulacro terreno del Diavolo, che ritroviamo in quello che per lungo tempo è stato ritenuto il primo atto della caccia alle streghe , ma che in realtà fu innanzitutto un processo per idolatria ed apostasia. Nel 1390 furono condannate a morte come eretiche relapse due donne Pierina e Sibillia, accusate principalmente di aver adorato, nonostante fossero state già una volta ammonite e costrette ad abiurare, una misteriosa Signora, la Domina ludus, sapiente conoscitrice dei segreti dei semplici, delle tecniche divinatorie e officiante un notturno rito segreto, riservato esclusivamente alle donne in cui si celebrava il mistero della resurrezione degli animali macellati.

Foto di Irene Vallerotonda

Una presenza non più ammissibile nella società tardo medievale, in cui era stato avviato un profondo processo di confessionalizzazione, e in cui gli storici hanno inteso vedere la sopravvivenza di antiche divinità femminili, probabilmente di derivazione celtica (le bonae res, o signore notturne dell’abbondanza), progenitrici per un altro verso delle fate medievali, sincretizzate con altre potenti dee del politeismo mediterraneo (Iside/Artemide/Diana), e in cui gli inquisitori videro l’incarnazione della perfida moglie di Erode Antipa e a cui venne affiancandosi , nelle ultime confessioni di Pierina e Sibillia, quelle con molta probabilità ottenute sotto tortura, la tetra figura di un misterioso personaggio indicato con il nome assai evocativo di Lucifello, di li a non molto tempo destinato a sostituirsi per intero all’antico retaggio delle cose buone, e delle Divinità della sapienza, della magia e della fertilità.

2025 Paolo Portone

Paolo Portone nota bio

Allievo di Rosario Villari, si è laureato in storia moderna con una tesi sulla caccia alle streghe nell’antica diocesi di Como. Membro della Società Italiana di Storia delle Religioni (SiSr), attualmente presiede l’Associazione culturale Bonae res – Storie di popoli e tradizioni (IM). Nel 1998 ha fondato insieme a Guglielmo Lutzenkirchen il Centro di studi storico antropologici Alfonso M. Di Nola – Culti, culture e medicina popolare e dal 2008 è direttore scientifico del Centro Insubrico di Ricerche Etnostoriche (CO). Ha pubblicato Il noce di Benevento, La stregoneria nel Sud Italia, Xenia (1990), L’Ultimo sigillo: l’Apocalisse nel XXI secolo, Asefi (1999); L’ultimo sigillo: la fortuna dell’Apocalisse, Castel Negrino (2011), La strega e il crocifisso: radici cristiane o cristianizzate? Castel Negrino (2008). Montagne stregate (2023), coautore Valerio Giorgetta Writeup ed.. La lunga caccia alle streghe nell’antica diocesi di Como (XV-XVIII secolo). Ricercatore indipendente è consulente di programmi radiotelevisivi ed organizzatore di eventi culturali, nel 2015 ha curato la realizzazione della prima esposizione permanente in Italia dedicata al tema della magia e della medicina popolare, il Museo Etnostorico della Stregoneria di Triora (IM). Come cultore della materia ha partecipato a numerosi convegni, pubblicando i suoi studi su riviste scientifiche, dizionari ed enciclopedie, approfondendo in particolare il fenomeno della lotta alle superstizioni in relazione all’emergere nel cuore dell’Europa occidentale, tra medioevo ed età moderna, del mito della stregoneria diabolica.

_____________

Editing fotografico a cura di Alessandro Lisci – Target Lab Ets

Visita il sito: https://www.facebook.com/TargetLabEts

Visita il sito : www.alessandrolisci.com

Sostieni il progetto fotografico di Target Lab Ets con una donazione/erogazione liberale al seguente IBAN IT05M0306909606100000186094 intestato a Target Lab Ets.

Le donazioni liberali sono detraibili in sede di dichiarazione dei redditi.

Devolvi il 5xmille nella prossima dichiarazione dei redditi a Target Lab Ets inserendo il CF : 96498910585 riquadro Enti Terzo Settore e Aps per finanziare futuri progetti fotografici a ricaduta sociale

Pubblicato da Alessandro Lisci – Target Lab Ets

  infoline +39 331 6379346

Folclore Romano: “Le Streghe di San Giovanni” di Paolo Portone ultima modifica: 2025-06-21T00:49:31+02:00 da Target Lab Ets