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LABORATORIO SPERIMENTALE DI FOTOGRAFIA E COMUNICAZIONE
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PRESENTA
Architetture dell’antichità nella fotografia di Josef Koudelka a Roma.
“Tutti gli uomini hanno una segreta attrattiva per le rovine: appartiene un tal sentimento alla fragilità di nostra natura, e ad un’arcana conformità tra questi monumenti distrutti, e la rapidità della nostra esistenza” scrisse Chateaubriand nel suo Genio del cristianesimo (1802). Sono proprio le rovine della nostra civiltà greco-romana il tema della mostra fotografica “JOSEF KOUDELKA. RADICI. Evidenza della storia, enigma della bellezza” in corso a Roma presso il Museo dell’Ara Pacis. Promossa nella sua unica tappa italiana da Roma Culture, dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Contrasto e Magnum Photos, organizzata da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, con la collaborazione di Villa Medici Académie de France à Rome e del Centro Ceco, l’esposizione si compone di oltre cento spettacolari immagini panoramiche, molte delle quali di grande formato, a raccontare e ripercorrere lo straordinario viaggio fotografico di Josef Koudelka (Boskovice,1938) alla scoperta delle radici della nostra storia. Il lavoro presentato è frutto di un progetto unico nel suo genere, durato trent’anni, e realizzato esplorando e ritraendo con tenacia e continuità alcuni dei più rappresentativi e importanti siti archeologici del Mediterraneo.
Gli scatti in bianco e nero presentati in mostra, quasi enigmatici e stranianti, sono realizzati dal fotografo ceco tra Siria, Grecia, Turchia, Libano, Cipro (Nord e Sud), Israele, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Portogallo, Spagna, Francia, Albania, Croazia e naturalmente Italia. C’è l’antica città siriana di Palmira, fotografata nel 2006 prima che l’auto-proclamato Stato Islamico la catturasse e ne compromettesse il monumentale splendore. Sono scatti che accompagnano il visitatore in una inedita e personalissima riflessione sull’antico, sul paesaggio, sulla bellezza che “suscita e nutre il pensiero”. I panorami senza tempo, ricchi di anima e fascino, caratterizzati da prospettive instabili, inaspettate, ambivalenti, ben rappresentano il lessico visuale e la cifra stilistica propri di Koudelka. Rifuggendo la semplice illustrazione e documentazione delle rovine, l’artista sceglie di dare respiro a ciò che resta delle vestigia delle antiche civiltà del Mediterraneo, rappresentandole in un’eterna tensione tra ciò che è visibile e ciò che resta nascosto, tra enigma ed evidenza.
Platone scrisse, in un passo del Fedone, che il Mediterraneo era solo una piccola parte della terra in cui gli uomini vivevano come “rane intorno a uno stagno”. Sulle sue sponde fiorirono e crebbero egizi, fenici, greci, romani. Dai suoi lidi partirono coloni a popolare i grandi territori d’Asia e d’Africa. Popolazioni per natura esploratrici che affidarono all’architettura monumentale la propria civiltà. Ed è di questo mondo mediterraneo, debitore alla navigazione per il suo sviluppo urbano, che Josef Koudelka, nomade armato di macchina fotografica, ne ripercorre in bianco e nero i lunghi passi. I suoi scatti per Radici, come altri della sua lunga carriera, dalla Primavera di Praga alle collaborazioni per la Magnum, colpiscono per le ombre intense e la ricerca di una luminosità bruciante. Colgono nel segno le presentazioni mitizzanti di templi, strade e decorazioni scolpite, immagini civili o di pura bellezza mutate dal tempo trascorso.
Ed è in questa bellezza e nelle distruzioni che risiede la riflessione sulle radici comuni. Una storia condivisa di vestigia che porta in sé la dannazione di conflitto permanente. Il valore documentario avvicina le fotografie al Piranesi più razionale delle Antichità Romane, quattro tomi in cui l’architetto e incisore veneziano volle preservare, per i posteri, le immagini di monumenti antichi in progressiva decadenza.
Il bianco e nero spinto di Koudelka offre ampio spazio alla creatività, modulando forme e volumi di soggetti monumentali e fissi. Gli scatti si espandono e si comprimono rispondendo alle esigenze di una stupefacente varietà paesistica e particolare. La percezione delle figure avviene spesso per contrasti, i vuoti e i pieni delle scanalature delle colonne, i segni lasciati dai carri sul basolato della via Appia. Architettura e natura si sovrappongono, sfumano l’una nell’altra in una diluizione di simboli mitici e presenze materiali. Lo spazio antropico detta, infatti, i confini dell’agire artistico fino a quando il paesaggio naturale non irrompe nel teatro, nel tempio, nell’edilizia civile. I templi di Capo Sounion non esisterebbero senza il mare Egeo, ostentati sul promontorio della punta meridionale dell’Attica. Ai greci che incisero su pietra i propri dei, issati su baie o alture interne per favorirne la visione, il rispetto e il timore, Koudelka, rispettosamente, porge riverenza. Celebra la dimostrazione delle arti e dei mestieri visibili a grandi distanze, mostra le carte d’identità di popolo contenenti misticismo e sapere.
Come nelle documentazioni fotografiche da scavo, in didascalia sono spesso indicati gli orientamenti delle vedute e i crolli di pietre e le strutture scavate si susseguono nell’esposizione senza intrusioni. Non appaiono persone, strumenti, azioni a distrarne il discorso. Le immagini pulite e di grande dimensione rappresentano in uno scatto realtà sincroniche, piccoli dettagli che sono parte di un valore unico, forte, di immagini memorabili, in un rapporto intenso di rimandi e di echi di una memoria che a Roma più che altrove diventa presente, specie nell’evocativa sede del Museo dell’Ara Pacis che le fa da cornice.
Particolarmente curato e suggestivo è il progetto dell’allestimento. Lo sguardo “naviga” davanti sulle pareti, gira, si abbassa su una sorta di panche su cui sono posizionate le foto e si rialza. Movimenti che abbracciano e accompagnanano il percorso tra le architetture del passato, camminando nella storia, dentro le nostre radici. Ma non è al passato che il fotografo rivolge la sua attenzione bensì all’azione dell’uomo e al futuro: “Le rovine non sono il passato, sono il futuro che ci invita all’attenzione e a godere del presente”, ci accoglie all’inizio del percorso espositivo. Sulle sponde del Mare Nostrum, punto d’incontro di nazioni divise da culture, lingue e religioni diverse, eppure così vicine, c’è tutta l’attualità della nascita dell’Europa, dei suoi valori e dei paesaggi unificati nel passato da una comune civiltà. E Koudelka questo “mare comune” come un moderno Ulisse, lo naviga, lo attraversa e lo ritrae.
© Fabiana Cambiaso
Architetto ed Ingegnere Civile
Lavori Pubblici, Pianificazione del Territorio, Riqualificazione Urbana e Ambientale
Dipartimento Sviluppo e Infrastrutture di Roma Capitale
Redazione e editing fotografico a cura di Alessandro Lisci