“Una Femmina” il grande cinema italiano alla 72a edizione della Berlinale…la recensione di Nicoletta Cuomo – Target Lab Ets9

Un film dedicato a tutte le femmine ribelli

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Lina Siciliano in una scena del film " Una Femmina" di Francesco Costabile.

 

Redazione  di Target Lab Ets

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“Una Femmina”  

Nella sala Cubix 9 all’ultimo piano del cinema di Alexanderplatz, sta per iniziare la proiezione di Una Femmina – Il Codice del Silenzio, primo lungometraggio di Francesco Costabile, presentato nella sezione Panorama del 72° Festival internazionale del film di Berlino. Alla prima del 13 febbraio sono seguite altre tre proiezioni del film di Costabile, tutte sold-out, come quest’ultima.

Un pubblico trasversale, per età e provenienza, riempie la grandissima sala. Nella fila davanti e dietro di me si siedono degli italiani, alla mia sinistra due uomini tedeschi e alla mia destra due donne, presumo polacche. Si spengono le luci e nello schermo, in uno sfondo poco nitido, appare il volto ravvicinato del regista che prima dell’avvio della pellicola, come in una intima video-chiamata, rivolge agli spettatori una breve introduzione del suo lavoro. Segue un applauso diffuso, sentito e ha inizio la storia, narrata in dialetto calabrese con sottotitoli in inglese.

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Francesco Costabile, calabrese, racconta le vicende di una famiglia della ‘Ndrangheta, ponendo al centro della rappresentazione Una Femmina, Rosa. I personaggi rappresentano la fotografia di più generazioni appartenenti ad una società mafiosa, in un habitat grigio la cui popolazione rimane in penombra tra le montagne dell’Appennino meridionale. Una terra blindata come lo sono le bocche delle donne della ‘Ndrangheta.

Prima scena del film, in cui dominano primi piani, riprese ravvicinate e contrasti, è proprio una bocca, quella di Berta la capostipite, l’immagine su cui il regista si sofferma, offuscando nello sfondo la figura di Salvatore, l’uomo che detiente la gestione degli affari con i clan mafiosi locali e il controllo sulla famiglia, punendo in modo spregevole chi tragredisce il rispetto del codice del silenzio. Si tratta di un sistema radicato di valori, comportamenti deplorevoli e affiliazioni di potere tramandati anche dalle donne anziane, che condanna tutti indistintamente a privarsi della propria libertà ed umanità e ad assumere sembianze animali. La testa di porco insanguinata, posta al centro della tavola tra Rosa e Berta quando l’ordine mafioso interno è minacciato, crea un’immagine concreta del volto bestiale della Mafia, che opprime ed estorce con brutalità nella propria casa prima che fuori. La presa della Mafia è deleteria, non lascia margine di opposizione, se da un lato esalta l’ego maschile, che infuria col dominio sui corpi delle donne, dall’altro lo annienta della propria virilità arrivando a minarne la psiche, come nel caso di Natale, il cugino di Rosa. I violenti capi mafiosi spesso sono vili, vivono nell’ombra incapaci di agire in prima persona, come Don Ciccio il capo del clan rivale.

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Rosa è una giovane donna che non smette di porre domande sulla morte della madre, Cetta, e di ricordare ciò che i suoi occhi hanno visto da bambina e con l’aiuto di Gianni, arriva a scoprire verità murate che non potranno mai più essere pronunciate dalle bocche serrate delle donne. I suoi occhi trafiggono chi le impartisce gli ordini e decide della sua vita. Rosa è la donna che ha la Luna negli occhi, dai cui raggi assorbe la potenza femminile incontaminata, ed è l’unica in grado in questo contesto di ribellarsi alla sottomissione, di spaccare la pietra riaprendo vecchie falde e di  mettere in atto un piano, intriso di sangue, per recidere le proprie radici. Il suo sguardo è attraversato da una visione chiara che la guida verso un promesso luogo di libertà, di cui vengono private  le donne che nascono in questa terra. Il ballo al ritmo di tamburelli nei vicoli, tra le case di pietra e la serenata di Gianni per Rosa, sono uno squarcio di convivialità vaga e un richiamo opaco alla libertà. Libertà che i due ragazzi cercano fuggendo sul montagne, dopo che le donne anziane dei clan antagonisti hanno sancito un matrimonio-alleanza. In questa terra, in cui l’ordine mafioso superiore segna il confine delle vite come un monte che appare impossibile da oltrepassare, i più giovani possono riuscirci. La visione di un mondo con una mentalità diversa che esiste al di là delle montagne, viene invocata col canto meraviglioso da Gianni, nella notte in cui la sua voce verrà spenta e Rosa restituita al suo destino.

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Ci sono donne che non possono liberarsi, come la zia di Rosa, Rita donna silente, remissiva, che protegge e sostiene silenziosamente la giovane nipote. E c’è chi come Donna Berta, riesce fino all’ultimo a soffocare il suo impeto femminile provocato e svilito dalla stessa nipote Rosa, che le disconosce il potere sulla futura prole e mantiene viva la memoria di un diverso esempio materno. Vestita di nero e col viso velato, Rosa assume i panni di tutte le donne che sono all’avanguardia, unite da un canto di lotta corale e potente.

Davanti a tutte si fa strada Una Femmina, pronta a deviare per sempre verso il vicolo che la conduce all’auto, dove una poliziotta l’aspetta con lo sportello aperto.

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Alla conclusione del film, segue un nuovo applauso avvolto da un’emozione vitalizzante che si fa subito voce tra chi rimane ancora seduto sulle poltrone a parlare del film e che circola sottovoce come un vortice, tra gli spettatori che lasciano la grande sala per ritrovarsi qualche istante davanti al bar, mentre ci si riavvia tutti verso le scale. Mi guardo intorno, ascolto, parlano del film e giù per le scale sento una giovane donna intenta a descrivere alla sua amica quale sia per lei la fine di quel racconto, che come ogni opera artistica, è soggetto ad interpretazioni e crea suggestioni diverse. Ascolto cosa dice e mi rendo conto che la sua interpretazione non contempla e comprende la scelta della donna di staccarsi dall’associazione mafiosa e di rivolgersi alla protezione dello Stato.  Allora sento di confrontarmi, ripercorriamo insieme la scena finale e quella della telefonata iniziale in cui Berta intima alla figlia Cetta, di scegliere se stare con la Famiglia o con lo Stato. Sopresa la ragazza mi chiede se è veramente possibile per le donne fare questa scelta. Le parlo allora del lavoro di inchiesta del giornalista siciliano Lirio Abbate, a cui il flim si è ispirato, che documenta le storie di alcune donne della Ndrangheta che si pentono, si ribellano e compiono il passo descritto nel film di collaborare con lo stato italiano e come alcune abbiano pagato questo tradimento con la loro vita. La giovane donna mi ringrazia ed io penso invece a tutti coloro che hanno lavorato a questo film, il cui impegno e coraggio e la cui tenacia a creare canali informativi e comunicativi, permette al Cinema Italiano di ottenere una partecipazione onorevole e di grande risonanza al Festival del Cinema Internazionale come la Berlinale. Francesco Costabile ha donato a tutti gli italiani, anche quelli che vivono all’estero e sopratutto alle nuove generazioni, un’opera magistrale, autentica di enorme valore sociale e interculturale, che questo festival ha saputo riconoscere. Encomiabile l’interpretazione di tutte le attrici e gli attori di questo indimenticabile film. Splendide la colonna sonora e le musiche originali, una rievocazione nell’esperienza sonora della forza pulsante della Calabria, di ieri e di oggi.

All’esterno del cinema, le persone che erano in sala si sono raccolte formando tavole rotonde senza sedie, di tre/quattro persone davanti l’ingresso..si continua a parlare ancora di Una femmina.

Nicoletta Cuomo – Target Lab Ets 

 

 

“Una Femmina” il grande cinema italiano alla 72a edizione della Berlinale…la recensione di Nicoletta Cuomo – Target Lab Ets9 ultima modifica: 2022-03-02T13:05:16+01:00 da Alessandro Lisci