PRINT FOCUS Racconti fotografici: “NEVER AGAIN” di Irene Vallerotonda – Target Lab Ets

EXPLORER. VIAGGIO ATTRAVERSO IL MONDO - print focus

NEVER AGAIN

Arbeit macht frei era la macabra scritta che accoglieva i deportati al loro arrivo nei campi di concentramento per ricordare loro che “Il lavoro rende liberi”.

Milioni e milioni di uomini, donne e bambini furono barbaramente uccisi in questi campi, che nulla avevano a che vedere con i campi di lavoro.

Visitare Dachau non è semplice. Non lo è per le emozioni che suscita, per le riflessioni che porta con sé e per quel dolore che, volendo o meno, resta attaccato anche una volta usciti dal Memoriale.

E noi oggi più che mai abbiamo il dovere di ricordare; il dovere di raccontare. Perché non accada più. Perché i nostri bambini e i nostri giovani sappiano, divenendo adulti, quello che l’uomo è stato capace di compiere. E non millenni fa, ma solo 70 anni indietro rispetto al nostro oggi.

Ecco perché non ho potuto fare a meno di includere durante il mio viaggio in Baviera la visita al campo di Dachau (aperto nel 1933 e liberato il 29 aprile del 1945: 12 anni durante i quali furono uccisi 41.500 prigionieri). Perché avevo bisogno di vedere con i miei occhi, di respirare quell’atmosfera di orrore, di tristezza, di impotenza, di rabbia che solo in questi luoghi si può vivere fino in fondo.

Non ci sono parole per spiegare quello che significa, quello che è stato. Quello che questa visita ha rappresentato per me.

Era una giornata calda eppure sentivo freddo. Un freddo che ti entra nelle ossa, quando non puoi capire, quando non puoi accettare.  Davanti ai racconti, ai volti, agli oggetti, ai simboli, ai nomi, al dolore, ai corridoi rimasti al buio, alle stanze in cui tutto finiva.

Decisi di scattare tutte le immagini in bianco e nero, perché non possono esserci colori in un luogo simile; perché anche il cielo si era uniformato al grigio di quegli spazi. Perché c’era quasi del pudore nel raccogliere quegli scatti.

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Never Again – Dacahu © Irene Vallerotonda – Target Lab Ets

Il campo di concentramento, primo nel suo genere, nasce nei locali di una vecchia fabbrica di munizioni in disuso il 22 marzo del ’33, un paio di mesi scarsi dopo la salita al potere di Hitler alla fine di gennaio.

A costruzione completata, la capacità massima di Dachau si attesta intorno ai 5000 prigionieri, 6000 a voler strafare: arriverà a contenerne più di 40.000 tutti in una volta. I numeri parlano di un totale di 200.000 tra dissidenti politici, stranieri, omosessuali e, immancabilmente, ebrei.

Anche se durante il suo periodo di attività (il più lungo tra i suoi simili, tutti i 12 anni del regime nazista) non si vedrà mai appiccicare in maniera ufficiale l’etichetta di campo di sterminio, lo “spirito di Dachau, il terrore senza pietà” verrà preso a modello in tutti i campi di più recente costruzione. Fa la sua prima comparsa anche quel cancello che diventerà uno dei simboli più conosciuti del nazismo, con tutto il sadismo beffardo di Arbeit Macht Frei.

A Dachau per morire non servono le docce. Ci pensa il brulichio di malattie nelle baracche piene da scoppiare. Ci pensa il Bunker, la prigione in cima al campo, coi suoi cubicoli di 70×70 cm in cui si sta chiusi tre giorni, in piedi, per aver raccolto un giornale da terra. Qualche SS annoiata che trova un prigioniero e, per ammazzare il tempo, gli dà una spintarella sulla striscia proibita di prato, sotto il tiro degli agenti nelle torrette di sorveglianza.

A Dachau ne stroncano tanti. 41.500 in dodici anni. Chi cade di stenti, chi fa da cavia agli esperimenti di macellai col vizio di chiamarsi scienziati, chi si ritrova un proiettile nel cranio per il capriccio di chi sta più in alto.

Più di settant’anni dopo essere stato sgomberato, il campo rimane uno di quegli angoli di mondo per cui si prova una repulsione che ha del fisiologico. Se esiste un subconscio collettivo della razza umana, un postumo strascicato di istinto, quello che dice è che luoghi come Dachau non sono fatti per la vita. Il male li impregna come una macchia di fumo sul muro che resta nera in barba a tutte le mani di vernice con cui si è tentato d’imbiancarla.

A Dachau si è soli con il proprio dolore!

© Irene Vallerotonda – Target Lab Ets

Concorso Fotografico: “Explorer. Viaggio attraverso il mondo” è il tema della 1a edizione del Premio PrintFocus di Target Lab Ets

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Never Again – Dacahu © Irene Vallerotonda – Target Lab Ets

 

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Never Again – Dacahu © Irene Vallerotonda – Target Lab Ets

 

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Never Again – Dacahu © Irene Vallerotonda – Target Lab Ets
PRINT FOCUS Racconti fotografici: “NEVER AGAIN” di Irene Vallerotonda – Target Lab Ets ultima modifica: 2023-08-06T15:25:03+02:00 da Target Lab Ets